Da copertura a terrazzo: quando serve la certificazione di idoneità statica? | Articoli | Ingenio

2022-10-13 02:48:36 By : Mr. Michael lin

Tar Lombardia: rappresenta una variazione rilevante la trasformazione di una copertura di un immobile da spazio non accessibile, se non per attività di manutenzione, a terrazza destinata ad ospitare, seppure in via non continuativa, delle persone

La trasformazione di una copertura di un immobile da spazio non accessibile, se non per attività di manutenzione, a terrazza destinata ad ospitare, seppure in via non continuativa, delle persone rappresenta una variazione rilevante che necessariamente richiede un intervento di adeguamento, previo rilascio della certificazione di idoneità statica da parte del competente ufficio tecnico.

Lo ha affermato il Tar Lombardia nella sentenza 572/2020 dello scorso 30 marzo, che tratta del caso dell’esecuzione di opere di manutenzione straordinaria, demolizione e costruzione per la creazione di un locale bar, ristorante e pizzeria al piano terreno e seminterrato delle unità di proprietà del ricorrente, costituita da un corpo ad un piano fuori terra ed uno seminterrato, fa parte di un complesso condominiale composto anche da due fabbricati di sette piani fuori terra ed uno seminterrato, da altri due fabbricati retrostanti, rispettivamente di nove e di sette piani fuori terra, oltre ad un piano seminterrato per entrambi, e da due cortili.

In data 18 maggio 2018, la CILA è stata sostituita da una SCIA, avente ad oggetto un intervento di manutenzione straordinaria (pesante), di cui all’art. 3, comma 1, lett. b, del dpr 380/2001, consistente nella demolizione e costruzione di alcuni tavolati dell’unità immobiliare, nella formazione di una scala di collegamento con il lastrico solare e nell’installazione, su quest’ultimo, di una tettoia e due canne fumarie.

Per il comune, gli interventi realizzati risultavano difformi rispetto alla SCIA del 18 maggio 2018. Dopo la presentazione di una seconda SCIA in sanatoria, il comune, all’esito del sopralluogo, ha segnalato alla parte istante che l’intervento edilizio si sarebbe dovuto configurare, ai fini strutturali, come sopraelevazione, con la connessa necessità della certificazione relativa ai cementi armati ex art. 90 del dpr 380/2001, e ha preannunciato l’avvio del procedimento volto all’annullamento del titolo edilizio, per la necessità di verificare i presupposti di cui al citato art. 90, trattandosi di materia strutturale interessante la pubblica incolumità, e quelli dell’art. 86.3 del Regolamento Edilizio (distanze tra costruzioni), trattandosi di norma di carattere igienico-sanitario. In seguito, è arrivata anche l'ordinanza di demolizione col ricorso al Tar dell'istante, che ha dedotto una lunga serie di motivi.

La parte che ci interessa approfondire è quella nella quale si assume l’illegittimità dei provvedimenti comunali nella parte in cui, sull’erroneo presupposto dell’avvenuta realizzazione di una sopraelevazione, hanno ritenuto applicabile all’intervento edilizio effettuato dalla ricorrente l’art. 90 del dpr 380/2001, che impone il previo rilascio della certificazione di idoneità statica da parte del competente Ufficio tecnico.

Il Tar respinge il ricorso, partendo da qui: il tecnico della parte ricorrente, nella relazione descrittiva di accompagnamento alla prima SCIA, ha evidenziato che l’intervento edilizio avviato risultava finalizzato, tra l’altro, alla realizzazione di una nuova scala per l’accesso alla copertura ad uso terrazzo, sulla quale si sarebbe costruita una tettoia in struttura metallica con una copertura in lamiera grecata da utilizzare per ricevimenti e dessert nella stagione primavera/estate.

Per la ricorrente la realizzazione di una tettoia aperta su tre/quattro lati non darebbe luogo alla creazione di una superficie abitabile e quindi escluderebbe la presenza di una sopraelevazione, che sarebbe l’unico intervento per il quale andrebbe richiesto il preventivo rilascio della certificazione di idoneità statica da parte del competente ufficio tecnico, ai sensi dell’art. 90 cit. Difatti il Capitolo 8.4.3 delle N.T.C. (Norme tecniche per le costruzioni) 2018, tra le opere strutturali da assoggettare obbligatoriamente agli “interventi di adeguamento”, esclude le variazioni dell’altezza dell’edificio dovute alla realizzazione di cordoli sommitali o a modifiche della copertura, che non comportino incrementi di superficie abitabile, non ritenendole delle sopraelevazioni in senso proprio.

Ma contrariamente a quanto sostenuto nei ricorsi, la richiamata disposizione specifica che l’adeguamento è comunque richiesto se ricorrono una o più delle condizioni di cui agli altri precedenti punti b), c), d) ed e), compresa quella che riguarda “le variazioni di destinazione d’uso che comportino incrementi dei carichi globali verticali in fondazione superiori al 10%” (di cui alla lettera c).

Nella fattispecie, l’Ufficio Cementi Armati ha, in più occasioni, evidenziato che la nuova destinazione impressa alla copertura trasformata in terrazza determina un aumento dei carichi in grado di produrre un impatto diretto sulla struttura da un punto di vista della sicurezza sismica. Non solo: il Capitolo 8.3 delle N.T.C. impone una verifica di sicurezza quando ricorre “il cambio di destinazione d’uso della costruzione o di parti di essa, con variazione significativa dei carichi variabili e/o passaggio ad una classe d’uso superiore”: il tecnico di parte ha dichiarato il passaggio dalla classe d’uso II alla classe III, ma non ha prodotto alcuna relazione sul punto.

Quanto all’asserita mancata creazione di superficie abitabile, che secondo la ricorrente sarebbe presupposto necessario per configurare una sopraelevazione, deve chiarirsi che la disciplina in materia di sicurezza delle costruzioni non è perfettamente sovrapponibile alla regolamentazione afferente all’ambito urbanistico ed edilizio, perseguendo le richiamate discipline obiettivi differenti:

Anche la giurisprudenza ha messo in rilievo che la “disciplina nazionale in materia urbanistica non può essere estesa alla diversa disciplina edilizia antisismica e delle costruzioni in conglomerato cementizio armato, attenendo tali materie alla sicurezza statica degli edifici, come tale rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, comma secondo, Cost.” (Cass. pen., III, 27 dicembre 2018, n. 58316).

In definitiva, la trasformazione di una copertura di un immobile da spazio non accessibile, se non per attività di manutenzione, a terrazza destinata ad ospitare, seppure in via non continuativa, delle persone rappresenta una variazione rilevante che necessariamente richiede un intervento di adeguamento, previo rilascio della certificazione di idoneità statica da parte del competente ufficio tecnico.

Nella sentenza c'è spazio anche per un'altro aspetto interessante, quello relativo alla demolizione nella parte in cui assume, in ragione della realizzazione del vano scale, il mancato rispetto delle distanze dal fabbricato contiguo, come stabilito dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, cui fa rinvio l’art. 86.3 del Regolamento edilizio.

A giudizio della ricorrente, il vano scala non costituirebbe un “nuovo edificio”, essendo semplicemente un vano tecnico avente lo scopo di coprire le scale di collegamento e non essendo dotato di finestre.

Ma, sostengono i giudici, la giurisprudenza è concorde nel sostenere che, pur avendo il vano scala natura di volume tecnico, lo stesso non possa essere ritenuto irrilevante ai fini dell’applicazione della normativa dettata per le distanze dai confini: “rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell’edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato” (Consiglio di Stato, IV, 17 maggio 2012, n. 2847). Difatti, se lo stesso ha natura permanente ed è connotato da stabilità, come nel caso oggetto della presente controversia, si pone in contrasto con le finalità perseguite dalla normativa contenuta nel D.M. n. 1444 del 1968, aventi lo scopo di assicurare le necessarie condizioni di salubrità dei fabbricati sotto il profilo igienico-sanitario, mediante l’eliminazione di intercapedini nocive tra gli stessi. Pertanto, in ragione del contenuto pubblicistico della richiamata disciplina e “del carattere inderogabile della stessa, deve ritenersi non tollerabile la presenza di una parte sia pure di modesta entità di un opus edilizio che va ad insistere in maniera permanente su uno spazio territoriale che deve essere libero da qualsiasi ingombro” (Consiglio di Stato, IV, 4 marzo 2014, n. 1000).

Di conseguenza, il vano scala posto a distanza inferiore ai dieci metri dall’edificio antistante non è legittimo, non assumendo alcun rilievo la circostanza che uno dei due manufatti sia privo di finestre (cfr. Cass. civ., II, ord. 4 giugno 2019, n. 15178).

LA SENTENZA INTEGRALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF

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