Arte romana: tecniche costruttive dei romani, l’arco e la volta, i paramenti murari, l’architettura, l’architettura dell’utile
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Fondata secondo la leggenda nel 753 a. C da Romolo sul colle Palatino, Roma per i primi due secoli della sua storia fu governata da sette re, finendo sotto l’egemonia etrusca e assorbendone la cultura.
In questo periodo il potere era nelle mani di un re supportato dai patrizi del Senato. Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo Roma divenne una Repubblica, il potere era comunque di pochi, solo dopo molti anni i plebei poterono migliorare le loro condizioni. È in questo periodo che la potenza di Roma si espande al resto del Mediterraneo e la ricchezza della città porta alla formazione di una nuova classe sociale: quella dei Cavalieri. Le lotte per il potere cessarono con Augusto, primo imperatore di Roma e con i suoi successori.
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I Romani ebbero con l’arte sempre un rapporto molto problematico: essi erano infatti molto più interessati alle cose concrete e reputavano l’arte una perdita di tempo.
Si circondavano di oggetti utili realizzati con materiali poveri e di fattura modesta. Quando oro e oggetti preziosi iniziarono ad arrivare dalle Province, Roma entra in contatto con l’arte classica, ma sempre con un certo disagio.
Questo atteggiamento si avrà anche durante il periodo imperiale, quando ormai esisteva una vera arte romana che si esprimeva soprattutto nei ritratti degli antenati, nelle grandi opere pubbliche nelle architetture onorarie per celebrare un evento o un personaggio.
Non si ricordano nomi di artisti: l’arte romana è anonima proprio perché l’interesse dello Stato prevale sul singolo.
L’architettura greca basa le proprie tecniche costruttive sul principio dell’architrave, quella romana sul principio dell’arco della volta, entrambe tecniche che permettevano coperture solide e ampie.
Poiché per leggi fisiche volte e archi spingono i propri sostegni verso l’esterno, la tecnica romana ricorreva a muri molto spessi e si avvalevano di potenti e innovative macchine da cantiere, ad esempio le gru.
L’arco è composto da una serie di elementi in pietra o mattoni detti conci; quello situato in alto è detto chiave. Le linee radiali che separano i conci sono i giunti. Il piano da cui si inizia l’arco è detto piano di imposta e le linee curve che lo delimitano si chiamano intradosso o sesto ed estradosso. Si chiama freccia la distanza verticale fra piano di imposta e il punto più elevato della linea di intradosso, mentre luce o corda la distanza fra i sostegni.
La parte esterna e visibile dell’arco è invece l’archivolto o ghiera.
I Romani usavano solo l’arco a tutto sesto in cui i conci sono indirizzati verso il centro del cerchio. A tale scopo veniva data una forma a cuneo alle pietre e ai mattoni usati. Se invece si usavano mattoni rettangolari, i più comuni, allora si ovviava usando più o meno malta tra i mattoni. Si potevano anche costruire archi concentrici a ventaglio oppure inserire tra i mattoni pietre sagomate a cuneo col sistema detto interclusione.
Per sostenere l’arco durante la costruzione, che termina solo con la posa della chiave, si ricorre ad una struttura in legno che lo sostiene e gli dà forma, la centina, l’insieme delle centine è detta armatura, questa viene smontata al termine.
La volta si basa sul principio dell’arco, i tipi più usati dai Romani erano a botte, anulare e a crociera, essi usavano inoltre molto le cupole per coprire spazi a pianta circolare o inscrivibile in un cerchio.
I Romani usavano la malta che è un composto formato da un legante la calce, e da uno o più aggregati, sabbia, nonché acqua.
Unendo alla malta ghiaia o scaglie di pietra o di mattone si otteneva il calcestruzzo che una volta asciutto aveva la consistenza della pietra. Questo materiale permise ai Romani di costruire edifici enormi, inoltre veniva usato per riempire lo spazio tra due muri. I muri a vista erano di diversi tipi:
Occorre però tenere presente che spesso gli edifici, che oggi noi vediamo con i mattoni a vista, erano rivestiti di materiali preziosi come il marmo.
Per i Romani l’interesse dello Stato era prioritario, pertanto grande importanza rivestivano le opere pubbliche come strade, ponti, fognature, acquedotti, o gli edifici di uso comune: mercati, terme, basiliche.
Per ognuno di questi, i Romani crearono una specifica forma architettonica uguale nel tempo. La disposizione degli accampamenti militari a pianta quadrata divisi in sezioni da strade ortogonali, ad esempio servì per la fondazione delle colonie e per l’organizzazione del paesaggio agrario in appezzamenti regolari detti centuriae.
Fra le opere ancora oggi visibili possiamo annoverare le strade. Di grande importanza per i commerci e lo spostamento delle truppe, erano larghe tre metri e composte da tre strati: ciottoli, per il drenaggio dell’acqua; sabbia e ghiaia; lastre di pietra a forma convessa per permettere all’acqua di defluire.
Tra le meglio conservate è da ricordare la Via Appia che univa Roma alla Campania e ai porti della Puglia.
Costruire ponti era, per i Romani, sacro a cui presiedeva il collegio sacerdotale. Addirittura i Romani pensavano che la parola pontifex derivasse da pòns fàcere. D’altra parte l’economia della prima Roma si basava proprio sull’esistenza di un ponte, il Pòns Sublìcius, sul Tevere, su cui era richiesto un remunerativo pedaggio. Il ponte, edificato forse da Anco Marzio, era tutto in legno e smontabile in caso di necessità.
I ponti in muratura si compongono delle seguenti parti: pile, arcate, spalle e carreggiata.
A Roma due erano i ponti in pietra, entrambi del I sec. a. C. , il ponte Fabrìcio e il ponte Cèstio che collegavano le sponde del Tevere con l’isola Tibèrina.
Uno dei ponti più integri dell’antichità e il ponte di Rimini, in pietra bianca e struttura in calcestruzzo, presenta cinque arcate che poggiano su quattro pile oblique rispetto alla carreggiata.
Il ponte serviva anche per scopi militari, pertanto andava all’occorrenza smontato, come possiamo vedere sulla famosa Colonna Traiana. Il più famoso tra questi ponti era quello che attraversava il Danubio nell’attuale Romania, non più esistente, esso presentava venti pile in muratura e ventuno arcate in legno facilmente abbattibili.
Importantissimo per i Romani era l’approvvigionamento idrico che avveniva tramite gli acquedotti. Il più spettacolare era l’Acquedotto Claudio di circa 70 kilometri, un quarto dei quali su arcate.
Due di queste furono inglobate nelle Mura Aureliane fungendo da porta per la città. La porta detta Predestina, ora conosciuta come Maggiore perché portava alla Basilica di Santa Maria Maggiore, ha due grandi arcate con tre edicole con timpano e colonne corinzie, sotto l’edicola centrale vi è il passaggio per i pedoni, quattro cornici dividono l’attico in tre parti: la fascia superiore corrisponde alla canalizzazione entro cui scorreva l’Aniene Nuovo; nella centrale l’acqua Claudia; nell’inferiore infine ci sono le iscrizioni che ricordanoi restauri avvenuti in antichità.
Le acque a Roma venivano usate anche per le Terme.
La loro tipologia fu definita in età imperiale da quelle di Traiano. Costruite da Apollodoro di Damasco, sorgono sui resti della Domus Aurea di Nerone. Occupano 9 ettari: 330x315 metri. Sono ben esposte, il blocco centrale comprende la Natàtio (piscina all’aperto), il Frigidàrium, il Tepidàrum e il Calidàrium, ad essi erano annessi spogliatoi, palestre e sale massaggi il tutto era rivestito da mosaici e marmi. Nelle mura esterne trovavano posto biblioteche, portici, giardini.
Non possiamo dimenticare in ultimo la Cloaca massima, fognatura della città da cui le acque di scolo confluivano nel Tevere tramite un sistema di archi e volte sotterranee.
Di epoca regia restano solo pochi resti delle Mura Serviane che, composte da grandi blocchi di tufo e precedute da un fossato, circondavano Roma.
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