A Torre, nel 1902, sciopero dei pastai contro lo sfruttamento dei “minori”.
Lo sciopero, nel dicembre del 1902, divenne generale e fu sostenuto dagli operai di pastifici e mulini di Napoli, di Gragnano, di Nocera. “I piccoli proletari” di 7, 8 anni lavoravano anche 15 ore al giorno, senza sosta, per pochi centesimi ed erano esposti alla violenza dei “capi”. Edoardo Scarfoglio, il direttore del “Mattino”, scrisse articoli durissimi contro “la tirannia delle plebi” e esortò gli industriali a non arrendersi. Gli industriali della pasta versavano a Scarfoglio contributi generosi per rinnovare “lo stabilimento tipografico” che stampava il giornale. Correda l’articolo un quadro di Ettore Calvi “Porto di Torre Annunziata”.
Scrive Francesco Barbagallo che all’inizio del ‘900 la banca SAD (Società di assicurazioni diverse), presieduta dall’ammiraglio Raffaele Corsi e diretta dal finanziere Massimo Levi, si impegnò nella “ristrutturazione dell’apparato industriale torrese, fondato su mulini e pastifici”. Mulini e pastifici erano più di sessanta, e tra questi primeggiavano quelli delle famiglie Fabbrocino, Vitulano, De Nicola, Izzo, Cirillo, Scafa. Lavoravano nell’industria e nei settori collegati (i trasporti marittimi e la costruzione delle cassette) circa 3500 operai, organizzati, scrive Barbagallo, “in una Camera del lavoro seconda nel Mezzogiorno soltanto a Napoli”: conviene ricordare che Torre Annunziata contava 28000 abitanti. Un primo sciopero venne organizzato nel luglio del 1901 per l’aumento del salario, e si concluse, dopo sei giorni, “con il grosso successo di un aumento salariale del 15-20% “ ( Marcella Marmo).Negli ultimi mesi del 1902 la Camera del lavoro torrese decise di affrontare il problema della tutela del lavoro minorile: gli aspetti di questo problema vennero descritti con crudezza dal giornale “La Propaganda” il 27 dicembre. I ragazzi “all’età di 7, 8 anni lavorano, in onta alla legge, sino a 14, 15, 16 ore al giorno, con un salario minimo di 17 centesimi ed un massimo di 80 centesimi. Essi, i piccoli proletari, sono costretti ad andare al lavoro all’una dopo mezzanotte (specialmente in questa stagione) per ritornarsene a casa storpiati e piangenti alle 16 o 17 del giorno seguente”. E se qualcuno di essi si ferma “per un minuto di riposo”, il capo-pastaio lo prende a calci e a schiaffi e gli sputa in faccia. In un primo momento, gli operai di due pastifici furono solidali con i ragazzi che protestavano contro i soprusi: i proprietari risposero con numerosi licenziamenti. Iniziò così “uno sciopero di categoria che il 12 dicembre 1902 divenne uno sciopero generale cittadino e bloccò tutte le attività di Torre Annunziata, dalle fabbriche al movimento del porto” ( F. Barbagallo). L’agitazione durò quasi un mese, ed ebbe il sostegno degli operai e delle organizzazioni sindacali di Napoli, di Gragnano, di Scafati e di Nocera Inferiore. ( A Gragnano c’era il pastificio Garofalo, che era anche mulino, mentre a Nocera era notevole la produzione dei pastifici Gabola, Vitolo e Gambardella). I risultati furono consistenti: all’inizio del 1903 il prefetto obbligò gli industriali “a riammettere al lavoro tutti gli operai scioperanti alle primitive condizioni, e ad accettare la nomina di una commissione mista, composta di proprietari e di operai”, che avrebbe affrontato tutti i problemi, e “rivisto le tariffe dei salari”.Il ruolo svolto dai socialisti nell’organizzazione e nella conduzione degli scioperi irritò Edoardo Scarfoglio, il direttore del “Mattino”. Lo sciopero egli lo giudicò “uno scoppio di quello spirito tirannico delle plebi, al quale i capitalisti hanno il dovere di resistere”, poiché “non è più la giustizia che impera, nel paese dei maccheroni, sui rapporti tra capitale e lavoro, ma la prepotenza e la camorra della massa.. Gli operai considerano gli opifici industriali come una loro proprietà, nella quale possono spadroneggiare a loro capriccio: non è più lecito congedare un facchino senza il consenso loro…gli industriali della ribellione hanno ingaggiato una guerra personale contro gli industriali del lavoro”. Osserva Francesco Barbagallo che le dure “sentenze” del direttore del “Mattino” erano dettate certamente dalle sue note idee politiche, ma vennero confortate anche dai contributi versati al giornale e alla “Società editrice meridionale”, che a Scarfoglio faceva capo, dagli industriali della pasta: i Garofalo versarono lire 15.000, e lire 15.000 vennero offerte dai Fabbrocino; di 10.000 lire fu il contributo di Francesco Cirillo, e 5000 ciascuno consegnarono Annibale Fienga di Scafati e Francesco Iennaco di Torre. La SAD consegnò “direttamente a Scarfoglio 200.000 lire. “Grazie a questi capitali freschi venivano rinnovati completamente lo stabilimento tipografico e le macchine con cui era stampato il giornale. Arrivarono le linotypes, per la prima volta in un’azienda meridionale, e una nuova rotativa tedesca, grazie alla quale “Il Mattino” veniva stampato ogni giorno a sei pagine”. Ma Scarpetta si accorse che nel cielo sereno incominciavano ad addensarsi nuvole nere. Alla prossima.